Gaetano, il papà di Antonello, era un tradizionalista. Emigrato dal sole di Ravello nelle pieghe di un nord di confine, si limitò a far scoprire ai varesini la gioia di una pizza secondo i canoni della tradizione napoletana. Per una città al tempo un po’ aristocratica e ancorata a pochi punti fermi di una cucina che più lombarda non si può, tanto bastava e avanzava.
E’ stato invece il figlio ribelle e geniale, a rompere gli schemi e a trasformare la pizzeria di famiglia (Piedigrotta, via Romagnosi, in pieno centro storico) in un laboratorio di sperimentazione pura: con umiltà, senza darsi toni e, soprattutto, evitando peraltro l’utilizzo di quel termine orrendo che troppo spesso autocelebra la “pizza gourmet”.
Antonello, semplicemente, arriva a “smontare” la pizza nella sua composizione e concezione originale per ricostruire qualsiasi cosa, con l’entusiasmo di un bimbo e la testardaggine di chi cerca e pretende perfezione della materia: ecco, allora, la ricerca continua di ingredienti che viaggiano fin qui dalla penisola (Campania in testa, ovviamente, insieme alla Puglia della moglie Daniela): la scamorza di Andria, il pomodoro giallo di Ugento, pomodoro Tombolino del Salento, fiordilatte di Manfredonia, mozzarella di bufala di San Giovanni Rotondo.
Il primo passo è la creazione delle ‘pizze scomposte’, completate al tavolo dall’aggiunta di ingredienti esterni (la tolla di acciughe cantabriche, ad esempio, o il bicchierino di burrata, o ancora la maionese di pomodoro). Fin qui tutto facile. Ma l’audacia è, appunto, nella reinvenzione di una cucina “tradizionale” trasportata nella dimensione parallela della pizza, dove tutto si reinventa a colpi di pasta a lunga lievitazione (su questo e sulla scelta delle farine la precisione di Cioffi è incalzante), mozzarella e quant’altro. Un esempio? Lo straordinario “sushi di pizza” che, nell’aspetto, riproduce esattamente le declinazioni della specialità nipponica ma che, in effetti, altro non è che un rotolino di pasta di pizza ripieno di mozzarella e ripassato nei semi di papavero, a simulare l’alga nori. E ancora il “cappuccino di burrata”, la “lasagna di pizza” e i “pizzaccheri” ritagliati da un impasto a base di grano saraceno, in omaggio alla Valtellina.
L’altra passione di Antonello sono gli champagne, che dominano una cantina (da far invidia a molti “blasonati”) con centinaia di referenze: va da sé che l’abbinamento pizza-champagne è uno dei must della maison, con percorsi inediti come quello realizzato con le etichette di Krug (Piedigrotta ne è ‘Ambassade’), sintetizzata dal tema “Heart Frequency”. Bolle nobili francesi insieme alle creazioni che, pure creative, derivano da una tradizione che più popolare e partenopea non si può? Partita possibile e vinta, con l’inventiva di aprire lo spartito all’insegna di una progressione spinta, eclettica ed elettrizzante: i morbidi “savoiardi di pizza con tartare di peperone, spuma di mascarpone allo zafferano e cacao Chuao”, quindi il “toast di pizza” ricavato da un impasto ai sette cereali, messo in crosta di un ‘pasta dura’ di bufala, porcini, arance candite, scamorza di Andria e basilico Thai (uno dei piatti migliori), il polpo-pizza in carrozza (con farina tipo 1) o il piccolo “hot dog di cornicione di Pizza” (impasto di orzo e avena) con la piccola salsiccia artigianale di Locorotondo.
Le tagliatelle di pizza alla puttanesca riescono bene grazie all’accompagnamento interattivo delle acciughe cantabriche, la cui salinità compensa la dolcezza del pomodoro giallo, con l’ulteriore spinta del frutto del cappero e la rotondità delle olive leccine. Complesso il “raviolo mantovano di pizza” ripieno alla zucca, con la conturbante spuma di mozzarella di bufala e poi due “fuoricarta”: la ricostruzione del fungo con base di pasta di pizza e pomodoro gelificato nella parte superiore e una reinvenzione dell’uovo in camicia con il tartufo nero uncinato. C’è persino una rivisitazione del panettone (con l’imprevedibile, ma riuscito peperone candito) per chiudere il viaggio in giostra.
La pizzeria marcia regolare tutti i giorni, a testa bassa, quasi nascosta (bisogna andarsela un po’ a cercare, tra i vicoli del centro citta): la sperimentazione nasce da una qualità solida, dallo sfornare centinaia di pizze a pranzo e a cena. Un lavoro che non nega ad Antonello l’ambizione di sognare, con la testa anche più su delle nuvole: due anni fa, ad esempio, ha realizzato un libro sulle “pizze spaziali”, riproducendo nelle sue ricette astronavi e dischi volanti: pagine che svelano un mondo immaginifico nell’infinito delle stelle, in cui si trova persino la sinistra pizzeria “scamorta nera” e dove la lotta “per diventare il miglior pizzaiolo che comanderà su tutto l’impero galattico” si preannuncia senza esclusione di colpi. Una lotta che si coltiva, soprattutto, di ghiotti sogni.
Leggi l’articolo di Jacopo Fontaneto in originale sul portale di Guide Espresso
Le foto sono di Gianni Ilardo e gentilmente concesse